sabato 25 luglio 2009

Accuse dal «Foglio», caso Marino nel Pd

Il giornale: lasciò l’università Usa per note spese truccate.
Brutto risveglio per il senatore Ignazio Marino, che solo due giorni fa aveva presentato a Milano il suo programma per la segreteria del Pd. Per il cardiochirurgo proiettato verso la battaglia congressuale di ottobre — dove se la dovrà vedere con Dario Franceschini e con Pier Luigi Bersani — è stata indigesta la lettura del Foglio diretto da Giuliano Ferrara che ha pubblicato in forma integrale un documento riservato datato 6 settembre 2002: è la lettera- fax con la quale l’amministrazione dell’Università di Pittsburgh avrebbe imposto a Marino di dimettersi senza condizioni da tutti gli incarichi legati alla prestigiosa Upmc, compreso quindi il centro trapianti Ismet di Palermo fondato dal futuro senatore del Pd nel 1999 in collaborazione con il colosso medico della Pennsylvania.

Motivo dell’improvviso quanto inaspettato allontanamento, spiega con stile ruvido Jeffrey A. Romoff nel testo scovato dal Foglio, alcune «irregolarità amministrative » che poi vengono quantificate in 8 mila dollari di rimborsi spese, accumulati nel corso di quasi dieci anni, ritenuti irregolari perché basati su ricevute presentate in copia alla stessa amministrazione sia in Italia sia negli Usa. «Tutto fango, probabilmente la sua candidatura dà fastidio a qualcuno», risponde il quartier generale del senatore lasciando intendere che l’imbeccata americana al Foglio potrebbe essere partita proprio da dentro il Pd. Al comitato Marino spiegano poi che si tratta di un doppio rimborso pagato per un errore dell’amministrazione di Pittsburgh del quale Marino avvisò con una lettera i contabili: e alla fine gli avvocati dell’Università e del professore avrebbero stralciato il capitolo note spese dal documento finale che ha sancito il divorzio tra Marino (passato all’Università di Filadelfia dal 3 settembre 2202) e l’Upmc.

Il Foglio, tuttavia, sostiene di essere in possesso della lettera controfirmata dallo stesso Marino come accettazione delle condizioni imposte da Pittsburgh mentre il professore replica che quella copia è solo un fax controfirmato per ricevuta senza alcun valore legale. Il Foglio insiste: e ricorda tra l’altro che l’allontanamento del cardiochirurgo dall’Ismet provocò l’indignata reazione del sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, ma non quella del collega Carlo Marcelletti, scomparso il 7 maggio del 2009, che disse: «Marino doveva raccontare la verità prima di andarsene e non lo ha fatto». Il caso è tutto politico. Pier Luigi Bersani: «Conosco da tempo Marino, ne ho grandissimo rispetto e stima. Non so se lui risponderà o vorrà precisare e non so neppure da dove arrivino questi documenti, ma per come l’ho conosciuto voglio ribadirgli la mia stima».

La squadra di Dario Franceschini si affida a una dichiarazione di Mario Adinolfi: «Non dobbiamo permettere a elementi esterni di avvelenare i pozzi del congresso. Si tenta di sporcare l’immagine di uno scienziato di indubbia fama che è una risorsa preziosa di questa sfida interna al Pd, con un metodo che non è degno dell’elegante quotidiano di Giuliano Ferrara ».

Obama? Un uomo non un essere sovrannaturale.


WASHINGTON - «Quando ho affrontato questa vicenda avrei dovuto scegliere meglio le parole da usare». Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, a sorpresa scende in sala stampa alla Casa Bianca durante il briefing quotidiano per fare una sorta di autocritica. Quel suo avverbio, «stupidamente», con cui ha definito l'operato dell'agente che ha arrestato il professore nero scambiandolo per un ladro, da giorni è al centro del dibattito nazionale. La sua marcia indietro giunge nel giorno in cui la Polizia di Boston gli ha chiesto di «scusarsi», definendo le sue critiche «sbagliate». Pur non pronunciando esplicitamente le parole «I'm sorry», Obama ha comunque osservato che l'intera vicenda ha dimostrato «quanto il fattore razziale» sia ancora «un aspetto problematico», un nervo scoperto, della società americana. «Ho chiamato l'agente e anche il professore. Credo - ha aggiunto Obama - che siano persone perbene che non hanno trovato il modo giusto di risolvere il problema».

Come vedete anche il tanto santificato Obama commette delle Gaffe, il che lo rende
più umano ed anche, consentitemi, più simpatico. S.Valerio

giovedì 23 luglio 2009

"Papi" ed il Travaglio.


Tratto da Thule-blog Il travaglio consiste in una serie di contrazioni uterine ritmiche e progressive che producono l’appianamento e la dilatazione del collo dell’utero al termine del quale nasce il bimbo.
Il Travaglio è un giornalista che dopo passate esperienze con Il giornale, Sette, Cuore, Il Messaggero, Il Giorno, L’Indipendente, Il Borghese, L’Espresso e L’Unità nonché co-produttore di Anno Zero e fiancheggiatore di Grillo può anch’esso causare delle contrazioni che possono concludersi con aborti letterari come l’ultimo di cui proponiamo la copertina.
In breve, siamo in fase di regime conclamato mancando di fatto un’opposizione capace di svolgere il suo ruolo e affidantesi al gossip come arma per destabilizzare un Governo. Siamo in un regime perchè si è costretti a leggere dai quotidiani e riviste di centro-sinistra di inchieste a luci rosse e i dirimpettai di centro-destra pubblicano le sarcastiche repliche, monopolizzando ed indirizzando così l’opinione pubblica verso fatti di letto piuttosto che verso la lettura dei fatti che contano. La mancanza di opposizione fa balenare alla stessa coalizione di governo l’idea di crearne una ad hoc (la temeraria Lega del Sud) pur di movimentare - in senso politico - l’attuale democrazia. Ma in fondo quel che ci danno in pasto è quanto meritiamo come popolo che sta a guardare e perchè no, di guardoni. E allora tutti a correre in edicola a comprare l’Espresso da leggere sotto l’ombrellone. Tra le pagine potrete trovare pezzi che faranno la storia del giornalismo e tremare Novella 2000.PD: Pronto?
SB: Come stai questa mattina?
PD: Come stai?
SB: Questa mattina
PD: Bene
SB: Tutto bene?
PD: Si..tu?
SB: Io si, ho lavorato tanto, questa mattina sono andato a inaugurare questa mostra, ho fatto un bellissimo discorso, con applauso e non sembravo stanco
PD: Eh infatti come me, io non ho sonno non ho dormito, è andata via solo la mia voce
SB: Beh come mai? Non abbiamo gridato
PD: Eh eppure non ho urlato, chissà perché è andata via la voce, sai perché? Perché ho fatto la doccia, 10 volte con l’acqua ghiacciata perché avevo caldo.

Ed ora un tuffo in mare. Che fa caldo.

martedì 21 luglio 2009

Foggia:22 luglio 1943. Per non dimenticare.


22 luglio allarme ore 9,35-14,30 incursione dalle 9,35 in due ondate a distanza di 25 minuti: sulla ferrovia e sulla città, vittime stimate 7643. Aerei intervenuti 71 Fortezze volanti B.17F del 340° Squadrone (10 velivoli) del 342° squadrone (11 velivoli) e del 414° Squadrone del 97° Gruppo Bombardieri Pesanti e caccia P38F Lightening del 1° Gruppo Fighters e altri velivoli.

domenica 19 luglio 2009

E la luna bussò.


Questo post fu scritto esattamente 10 anni fa . Cosa è cambiato in questi 10 anni?
I social sono diventati più invasivi, la tecnologia sempre più "aggressiva" basti pensare al 5G su cui in tanti addetti ai lavori mostrano perplessità per la salute pubblica.
Oggi più di ieri, una notizia in poco tempo, fa il giro del mondo diventando" vecchia notizia" in poche ore.
Resta il fatto che fu un evento storico per l'intera umanità.
Rimpiango quegli anni di spensierata gioventù e mi rifugio sulle  considerazioni fatte  tra l'ingenuo ed il romantico di 50 anni fa , quando il primo uomo mise piede sulla luna.
Per farvi due risate analizzate e approfondite  le tesi dei così detti "complottisti",per i quali fu tutta una finzione messa in atto dagli USA in piena guerra fredda.
A forza di leggere "bufale" finiremo per essere nostalgici, dello scorso millennio dove non c'erano complottisti e terrapiattisti a "rallegrare" le nostre vite.
C'erano i giornali la televisione ed i libri e non le "fake news".
In conclusione, il mio particolare trasporto affettivo nei confronti di questo pallido e splendido satellite chiamato luna rimane identico a quello di 50 anni fa, prescindendo da ogni considerazione di natura scientifica e di evoluzione tecnologica della storia dell'umanità.
(S.V)   





Chiosando una canzone di qualche anno fa cantata da Loredana Bertè: e la luna bussò.
Il nome "Apollo 11" a molti ragazzi di oggi non significa nulla ma per me quel 20 luglio 1969 significò tutto! Ovviamente l'apollo 11 era la navicella spaziale che portò per la prima volta l'uomo sulla luna.Ricordo come se fosse ieri l'emozione in casa mia, tutta la famiglia raccolta nel soggiorno, a guardare in bianco e nero ed ascoltare quella voce rotta dalla emozione, del mitico gionalista Tito Stagno.
Tutta la mia famiglia applaudì forte quando Armstrong poggiò il primo piede sulla Luna quasi voler far sentire a tutta la terra la partecipazione attiva di tutta la famiglia all'evento storico.Che giornata che fu! La notte successiva sognai il suolo desertico del Mare della tranquillità pieno di orme lasciate dagli astronauti, e stranamente c'erano anche le orme delle mie scarpe...
Sono passati 40 anni.Gli innamorati di oggi, non guardano più lassù per coccolarsi nel loro amore , si scambiano messaggini e foto su facebook. Pochi subiscono oggi il fascino dei corpi celesti: secondo una recente inchiesta l'astronauta è agli ultimi posti fra i mestieri più ambiti.Ma per me quel giorno ebbe un significato ben preciso: il mondo andava verso un futuro tecnologico dove ormai le distanze contavano ben poco...il resto lo ha fatto ...internet...ed i social.

Salvatore Valerio

sabato 18 luglio 2009

Sale l'allerta per l'influenza A

Sale l'allerta per l'influenza A
Timori per l'inizio delle scuole

Il viceministro Fazio lancia l'allarme: «A rischio l'apertura». Poi la precisazione: nessun rinvio.
Il mese di settembre, con la prevista riapertura delle scuole, «sarà sicuramente un momento cruciale», e dal momento in cui l'epidemia di nuova influenza si presenterà in Italia il contagio sarà «molto rapido» ed i casi aumenteranno velocemente ha sottolineato però ancora Fazio. «L'epidemia di nuova influenza - ha affermato Fazio - arriverà anche in Italia e, quando arriverà, presenterà una capacità di raddoppio dei casi in media ogni 10 giorni». L'epidemia, ha precisato, «quando arriverà, si svilupperà cioè in modo progressivo ma veloce e la riapertura delle scuole è un momento cruciale». Ad oggi nessuna ipotesi o misura è esclusa e tutto dipenderà dunque, ha precisato il viceministro, dalla valutazione dell'andamento dell'epidemia nel nostro paese quando questa si verificherà. Pertanto, ha sottolineato Fazio, «non escludiamo neppure la vaccinazione dei bambini dai sei mesi in poi, se ciò si dovesse rendere necessario. Ma valuteremo - ha concluso - anche con gli altri paesi e ci confronteremo con l'Oms».

NUMERO VERDE - «L'influenza A potrebbe iniziare a diffondersi in agosto, con pochi casi, perchè cominciano a rientrare tutte le persone dall'Inghilterra, ma potrebbe anche non essere così e in ogni caso noi siamo pronti ad affrontarla. Così Fazio ha poi precisato la previsione da lui fatta sull'arrivo della pandemia anche in Italia il prossimo mese. «La gente non deve spaventarsi - dice Fazio - in quanto abbiamo un sistema di controllo e prevenzione che ci permette di fermare la diffusione del virus e di curare le persone, ma abbiamo due aspetti da tener presente: uno è che prima o poi deve arrivare e non possiamo attuare misure di contenimento totali all'infinito, comunque stiamo cercando di avere prima possibile i vaccini; il secondo è che attuare misure di contenimento vuol dire considerare anche che l'influenza potrebbe mutare e diventare più "cattiva". Da lunedì sarà in ogni caso attivo il numero verde 1500 per tutte le informazioni alla popolazione».

LA NOTA - Successivamente in una nota il Ministero della Salute ha precisato che nessuna misura è allo studio per il rinvio dell'apertura delle scuole. Nella nota si legge che «in merito alla notizia diffusa da organi di informazione relativa ad un eventuale rinvio dell'apertura delle scuole a causa dell'influenza AH1N1, si precisa che nessuna misura di questo tipo è attualmente presa in considerazione dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, che comunque lavora in proposito in stretta collaborazione con il Ministero della Pubblica Istruzione».

NUOVI CASI IN ITALIA - Intanto sono in aumento i casi di nuova influenza nel nostro Paese. Nove ragazzi rientrati a Pistoia dopo una vacanza studio in Inghilterra sono risultati positivi al virus. Lo ha reso noto la Asl di Pistoia, spiegando che «i casi positivi al virus Ah1n1 sono 9 su 14 sintomatici ai quali i sanitari nella giornata di ieri hanno effettuato i test previsti dal protocollo». I nove, si spiega ancora, «trattenuti in ospedale per poche ore» sono stati poi dimessi «con terapia sintomatica e la raccomandazione di una breve convalescenza presso il proprio domicilio come per una normalissima influenza».
Tre i casi sospetti in Molise. Un 30enne di Capracotta (Isernia) avrebbe contratto l'influenza dopo un viaggio in Spagna. Al più tardi lunedì si conosceranno i risultati. Il 30enne è stato comunque dimesso ed è tornato a casa. Sono ancora ricoverati al «Cardarelli» di Campobasso una 14enne di Termoli (Campobasso), da poco rientrata dagli Stati Uniti e un 67enne di Filignano (Isernia).
Lasceranno invece Londra domenica, come da programma, circa 50 ragazzi italiani che dal cinque luglio sono in viaggio-studio nella capitale inglese e tra i quali si sono verificati possibili casi di nuova influenza. «Stanno tutti bene» dice la professoressa Rita Vecchio, una delle due accompagnatrici responsabili per 25 studenti dei 50. I ragazzi sotto la sua supervisione hanno tra gli 11 e 13 anni, provengono dall'Istituto comprensivo F. De Andrè di Peschiera Borromeo (Milano), ed è il gruppo più colpito. Dei 25 di Peschiera Borromeo, in tutto 19 hanno accusato i sintomi della nuova influenza e sono stati sottoposti alla terapia necessaria: i primi casi sono stati curati con la Tachipirina, per gli altri è stato attivato il protocollo previsto dalle autorità sanitarie britanniche con la somministrazione del Tamiflu.

venerdì 17 luglio 2009

L'infanzia di Morgan.








Morgan: «Un saluto,
e mio padre si è ucciso»
«Ero a scuola, lo zio mi disse: papà non c’è più»

Morgan in braccio al padre, con la madre e la sorella
La vita cambia un giorno di pioggia, all’uscita da scuola, l’auto di tuo zio fuori che aspetta. «L’11 ottobre, nel 1988. Mio padre si era ammazzato». Il foto­gramma che segna il prima e il dopo è un’immagine inedita, impressa per sempre. «Lui fermo alla finestra, sa­lutava me e mia sorella con la mano. Non lo aveva mai fatto prima. Quella mattina sì». Ora lo chiama il dono, «un brutto dono, il marchio di De­mian, direbbe Herman Hesse», quel­lo che stabilisce una distanza assolu­ta con il genere umano: «Seduto in macchina continuavo a guardare gli altri ragazzi che uscivano. Ecco, pen­savo, loro adesso non sono più ugua­li a me, io non sono più uguale a lo­ro. Sono stato l’unico della famiglia ad andare a prenderlo all’obitorio: l’ho guardato, l’ho toccato, ho visto cosa aveva fatto. Non era più mio pa­dre, lì dentro non c’era più nessun barlume di anima. Non capivo anco­ra il suo gesto. Dopo mi sono fatto tatuare un enorme punto di doman­da sul braccio».

Interno notte. Morgan siede da­vanti all’arpicordo, nel salotto della sua casa disordinata e calda, piano terra in una via laterale di Monza. Lo zerbino un cuore rosso, La Fontaine, Camus, Seneca e Leonardo Da Vinci per terra, l’ombra di Anna Lou, la fi­glia, con quella bicicletta e il casco appoggiati nell’ingresso, la collezio­ne di cappelli sopra il tappeto. Ha ap­pena finito le prove del tour che par­te stasera a Cremona: «Italian son­gbook live 09». Beve una Coca e fu­ma una sigaretta. Il pirata questa vol­ta intende spiazzare anche se stesso. «Ci eravamo appena trasferiti in una casa allegra, con il giardino. Mio padre era un po’ depresso, ma a quei tempi non se ne parlava, altrimenti, forse, sarebbe bastato lo psicologo. Era un’altra epoca. Le cose dovevano andare sempre apparentemente be­ne, non ci si confidava. Credo che non abbia mai detto a mia madre quanto stava male. Immagino aves­se fondamentalmente un problema di tipo economico, chissà da quanto tempo il pensiero gli marciva den­tro. Ma voleva fare la parte del capo famiglia, il leader che guida, l’istitu­zione. In realtà si sentiva un fallito. E alla fine non ha più voluto recitare la parte e ha scelto un gesto primordia­le per andarsene».

La vita cambia aprendo le fine­stre. «Il clima in famiglia si è allegge­rito all’improvviso. Mia madre ha co­minciato a dipingere fiori sulle pare­ti, ha tirato fuori la sua innata alle­gria, che si era spenta dietro alla cu­pezza di papà. I nostri amici adesso potevano venire a dormire a casa, quattro-cinque alla volta, stavamo nei sacchi a pelo sul tappeto. Si face­va un po’ festa, suonavamo con le fi­nestre aperte, ballavamo. Ecco, a me dispiace dirlo, perché ho sofferto molto e ancora soffro se ripenso al mio papà, mi viene proprio da pian­gere. L’ultima volta l’altro giorno, mentre ascoltavo Preghiera in genna­io di De Andrè, scritta dopo che Lui­gi Tenco si è ucciso. Però è andata così».

Mario Castoldi, il papà di Marco, di Morgan, del giudice caustico di X-Factor, del poeta-cantautore col­to, si è tolto la vita a 48 anni. «Non sono tanti di più dei miei oggi e que­sto mi fa riflettere. Sono quello che più gli somiglia, in qualche modo, e questo mi inorgoglisce, ma mi spa­venta anche. Lui era gentile, elegan­te, non diceva parolacce e non be­stemmiava, non andava a bere con gli amici, amava stare con noi in fa­miglia. Una persona raffinata, con modi non dico femminili, ma estre­mamente dolci. Pe­rò era anche violen­to, nei periodi di cu­pezza ». Morgan, dopo, comincia a sfidare il mondo. «Fosse successo a mia madre sarebbe stato diverso. Ma il padre rappresenta l’au­torità. Da allora ho messo tutto in di­scussione. Dovevo trovare la rispo­sta all’enigma, capire perché era suc­cesso, se trovi la soluzione non so­pravvivi: vivi». E con la ricerca è arri­vata la compassione, il rispetto per quell’uomo nobile d’animo al quale deve la sua vita libera, un padre «onesto, retto e corretto», gli diceva ogni volta la vicina di casa sul piane­rottolo. «Reputo che il mio papà non ha potuto essere se stesso, non gli hanno insegnato a essere sincero. Ha fatto il mobiliere, come suo pa­dre, mio nonno. Ma niente è più criminoso che continuare la profes­sione del tuo genitore se non ti ap­passiona davvero. Mio padre amava la fotografia, era bravo, si prendeva cura delle sue macchine fotografi­che. Nel tinello c’era una credenza per i piatti e bicchieri e una per bobi­ne, registratori, proiettori, moviole. Questo era lui. Sto rimontando i suoi Superotto, sto facendo un film che chiamerò I Castoldies, nel senso di 'vecchi', mia sorella che corre sui prati, io che ballo allo specchio, la fe­sta per la mia cresima sul terrazzo. Ho ancora le registrazioni di quei canti con la chitarra, di mia mamma che suonava il piano mentre io dor­mivo sul divano. Poverino, mio pa­dre, perché ha dovuto fare il mobilie­re e non è riuscito ad articolare l’indi­gnazione rispetto a ciò che gli aveva­no imposto». Il dolore ha rafforzato così la sua determinazione. «Io sono esattamente ciò che da piccolo ave­vo immaginato che sarei stato».

Poi un giorno la vita cambia anco­ra. Ed è una vita che nasce, non una che muore. È il figlio che diventa pa­dre. «Anna Lou è nata in una clinica a Lugano il 20 giugno 2001. Ho assi­stito al parto con una tempistica in­credibile. Ero stato accanto alla mam­ma per tutta la gravidanza 99 ore su 24. Avevo la sindrome della covata, con le mani ingrossate, sembrava do­vessi partorire pure io. Poi, in sala parto, mi addormento sfinito per ri­svegliarmi di colpo un quarto d’ora prima che lei venisse al mondo. Ho tagliato il cordone ombelicale, ho fat­to il bagnetto e le ho cantato la pri­ma canzone: Baby Blue, perché ave­va la testa blu e sembrava un puffo». Insiste che lui era già diverso, era co­sì cambiato da sentirsi pronto a una relazione con una piccola creatura. Però, certo. «Penso sempre a lei. Non c’è una cosa che io non voglia fare con mia figlia. Fumo anche da­vanti a lei, perché voglio che mi co­nosca con i miei limiti. Ma le ho inse­gnato il dissenso, può dirmi smetti­la ». Con Anna Lou comincia il viaggio nel futuro sui libri di Bruno Munari e di Gianni Rodari, con la musica funzionale di Ray­mond Scott che ti suggerisce i suoni per ogni fase della crescita dei tuoi bambini. E il fotogramma che segna il prima e il dopo è un’immagine ine­dita, impressa per sempre, questa volta dolcissima: «È Anna Lou che non riesce a dormire e che metto sul mio petto, sincronizzando il respiro, io e lei con lo stesso ritmo, il pneu­ma, l’alito che è la vita».


Elvira Serra
17 luglio 2009

martedì 14 luglio 2009

Lo "scivolone" del giornalista del TG3 .

«Domani il Papa va in vacanza e ci saranno anche due gatti... che gli strapperanno un sorriso, almeno quanto i proverbiali quattro gatti, forse un po' di più, che hanno ancora il coraggio e la pazienza di ascoltare ancora le sue parole». Il riferimento (poi rivelatosi infondato) di Balducci era ai due gattini, uno grigio un po' malandato e uno bianco e nero, dal pelo lucido e folto, che il Pontefice dovrebbe trovare nella villetta di Les Combes, in Val d'Aosta, dove Ratzinger trascorrerà un periodo di riposo. Ma lo scivolone ironico del giornalista del Tg3 sui «due gatti» e i «proverbiali quattro» ha scatenato le polemiche. Il giornalista fa chiarezza sulle ragioni della «battuta» sui «quattro gatti» del Papa: «La frase è un inciso retta da ’gli strapparono un sorriso’ (i gatti di montagna perfino quello malandato), almeno quanto i proverbiali (sottolineo proverbiali) quattro gatti, forse molti di più (con immagine del saluto e del sorriso e della piazza piena), che hanno il coraggio e la pazienza di ascoltare».

venerdì 10 luglio 2009

G 8 from Maddalena to L'Aquila. Un successo per il Governo.









Il Summit G8 2009, che si è tenuto a L’Aquila in segno di solidarietà verso la popolazione abruzzese colpita dal terremoto e di chiunque nel mondo sia colpito da calamità naturali, si è concluso approvando sette dichiarazioni congiunte sui temi della crisi economica, della povertà, del cambiamento climatico e delle questioni politiche internazionali. I leader hanno riconosciuto che la loro azione è rafforzata dall'impegno congiunto con le grandi economie emergenti e deciso di progredire insieme verso un'associazione stabile e strutturata.

ooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo
ROMA — E ora che il G8 si è chiuso, che ne sarà della tregua? Si romperà presto, arro­ventando la nostra estate sotto l’incombere di alcuni appuntamenti parlamentari delica­ti e controversi — il tema giustizia su tutti — e riaccendendo il conflitto che tiene il si­stema in torsione ormai da 15 anni? O si può invece sperare che una così decongestionan­te settimana possa aver bagnato le polveri e aver magari ispirato uno spirito diverso, me­no devastante e politicamente cruento, a quanti guidano il confronto pubblico in Ita­lia? Se giri queste domande al presidente del­la Repubblica, che aveva chiesto l’armistizio «nell’interesse del Paese», raccogli risposte il bilico tra l’esorcismo di chi lancia messag­gi in bottiglia (senza quasi più confidare che vengano raccolti), e la fiducia ragionata di chi ha visto largamente accolto il proprio ap­pello.

«Potrei dire con una battuta che, in gene­rale, dopo le tregue o riprendono i combatti­menti o si cerca la pace. Nel caso della nostra vicenda politica, nessuno può pensare che ci sia la pace come rinuncia alle rispettive posi­zioni: siamo in un Paese che ha pienezza di vita e di dialettica democratica, c’è il gover­no che fa la sua parte, con l’opposizione che fa la sua. Penso però che si potrebbe costrui­re, e che sarebbe tempo di cominciare a far­lo, non una impossibile pace, ma almeno un clima più civile, corretto e costruttivo nei rapporti tra governo e opposizione». Giorgio Napolitano naturalmente sa bene che, per arrivare a un simile scenario, serve una sorta di disarmo bilanciato. Infatti, spie­ga, continuando nella metafora bellica, «co­me la tregua significa cessazione dei combat­timenti da ambedue le parti, allo stesso mo­do la costruzione della pace o, meglio, nel caso nostro, di un clima più pacato, richiede il contributo di tutti e due i fronti. Richiede, perlomeno, più senso della misura».

E ci si può arrivare, aggiunge, partendo ciascuno, alla vigilia della pausa estiva, da «un perio­do di respiro». Purché, insomma, prevalga la riflessione sui problemi rispetto alla vo­glia di incassare subito, per il proprio schie­ramento, altri dividendi di una lotta politica drammatizzata. In fondo, riflette il capo dello Stato in que­sto weekend di riposo a Castelporziano, il summit dell’Aquila dimostra che, come ha scritto Sergio Romano sul Corriere , «in certe occasioni il governo, piaccia o no, rappresen­ta l’intero Paese. Se ne esce a testa alta è una vittoria per tutti, se ne esce male siamo tutti sconfitti». E successo è stato, concorda il Pre­sidente. «Sì, l’approccio di quel commento di Romano era assolutamente giusto e in sin­tonia con il mio richiamo. Con il quale non volevo zittire né la politica né l’informazio­ne, che hanno sempre le loro ragioni, ma sol­lecitare un momento decongestionante, di­ciamo così, per salvaguardare l’immagine del Paese. Mi pare che, nell’insieme, l’Italia sia uscita bene da questo G8 e che si sia espressa nel complesso una maggior consa­pevolezza e condivisione della responsabili­tà nazionale».

Un bilancio buono, che Napolitano esten­de ai risultati del G8, anche se non ha ancora letto tutti i documenti conclusivi. «Credo che si possano trarre giudizi positivi, per quanto non si debbano mai sopravvalutare le chances di conclusioni concrete in vertici di questa natura. È un’osserva­zione che fa il Financial Times di oggi, citando alcuni preceden­ti. Infatti è chiaro che, com’è ac­caduto stavolta, quando si han­no a confronto molto più di otto capi di Stato e di governo, anche se c’è stata una preparazione accu­rata, si trovano dei punti di conver­genza e di caduta la cui effettiva va­lenza va verificata nel merito. Quan­do per esempio si tratta di impegni finanziari, bisogna dopo garantirsi che siano rispettati. Comunque ci so­no state questioni, come l’impatto del­la crisi economica sui Paesi meno svi­luppati o come quella dei cambiamen­ti climatici, che sono state trattate seria­mente e che hanno dato luogo a risulta­ti interessanti». Il Presidente è anche d’accordo sulla drastica diagnosi formulata da tutti in Abruzzo, e da lui stesso anticipata nel pranzo di gala: «Non è più tempo di diret­tori ». Nel senso che la tempesta economica e sociale che dilaga nell’intero atlante mon­diale impone sforzi congiunti, per i quali bi­sogna chiedere la responsabilità del mag­gior numero di Paesi, a partire da una rifor­ma delle istituzioni internazionali.

Ragiona Napolitano: «Comprendo che sia­no necessarie intese urgenti, di fronte al­l’emergenza finanziaria e alle sue ricadute. Servono però soluzioni di fondo, che riguar­dino regole di comportamento e controlli da parte delle autorità che devono vigilare, per restare al tema della crisi, sul funzionamen­to del sistema finanziario. Ancora, sul metodo di la­voro: non può più funzionare la tec­nica dei diversi 'formati' per cui il primo giorno ci si trova in otto e il secondo giorno il vertice diventa 'più cinque' o 'più sei', perché Paesi importanti come la Cina, l’In­dia o il Brasile di oggi non possono accettar­la. Ecco perché la soluzione vera sta nell’at­tribuire una maggiore rappresentatività ed efficacia alle istituzioni internazionali. Sia quelle di Bretton Woods (cioè innanzitutto il Fondo monetario internazionale), sia le stesse Nazioni Unite». Ma quella dell’Aquila è stata anche l’occa­sione, per la gente di tutto il mondo, di vede­re i propri leader a confronto con gli altri, di avere un test concreto dei rapporti di forza. E soprattutto, stavolta, di mettere alla prova il nuovo presidente americano, sul quale si concentrano molte speranze. Il capo dello Stato si è intrattenuto a lungo con lui, nella tappa che Obama ha fatto al Quirinale. E, a giudicare dal pubblico e calorosissimo elogio che ha ricevuto, qualcuno si è spinto a parlare di «affinità culturali e politiche». Esagerazioni dei mass-media, italiani ma non solo? «Ho avuto l’impressione che affini­tà ce ne siano», dice Giorgio Napolitano, quasi con l’aria di schermirsi.

«Ma ciò che mi ha veramente colpito, di Obama, è la stra­ordinaria impressione di come ascolta gli in­terlocutori. È appunto un uomo che ascolta e riflette, come per prendersi il tempo di da­re poi le risposte nel corso del suo mandato alla Casa Bianca. Aprendo le strade per un maggiore dialogo. Il presidente russo Medve­dev, che era seduto accanto a me durante il pranzo ufficiale, mi ha confidato di aver avu­to la medesima sensazione, durante l’incon­tro al Cremlino. A proposito di Obama, mi ha anche colpito l’attenzione e la sensibilità con cui si è riferito alle figure che rappresen­tano ruoli diversi in Italia: il capo dello Stato e il presidente del Consiglio. Ruoli che, co­me sappiamo, in America si identificano nel­la stessa persona, l’inquilino della Casa Bian­ca, mentre così non è da noi e Obama ha di­mostrato di esserne perfettamente consape­vole ». Cordialità e sintonia che il presidente del­la Repubblica ha riscontrato anche in tanti altri ospiti del G8. Angela Merkel, ad esem­pio, «che ha voluto assicurarmi che in Ger­mania si concluderà la ratifica del Trattato di Lisbona prima delle prossime elezioni e pri­ma del referendum irlandese». Ma anche il brasiliano Lula, con il quale ha una vecchia consuetudine, risalente agli anni Ottanta. E il premier inglese Gordon Brown, incuriosi­to dalla citazione presidenziale sull’esorta­zione di Keynes dopo gli accordi di Bretton Woods che chiusero la crisi del ’29. E l’egizia­no Mubarak e il francese Sarkozy, il turco Er­dogan («al quale ho confermato di avere in programma una visita in Turchia nel prossi­mo autunno») e tanti altri che — confida— «hanno elogiato l’accoglienza, l’organizzazione dei lavori e la gestione dei dibattiti e delle riunioni».

Ciò che gli fa dire, infine, che questo verti­ce «rappresenta indubbiamente un ricono­scimento e un successo per il presidente del Consiglio, Berlusconi». Il quale, confida, «senza problemi di ringraziamenti tra me e lui, è stato spesso in contatto con me in vi­sta del G8 e lì mi ha fatto calorosi compli­menti, e credo sinceri, per il mio discorso al pranzo dell’Aquila, nel quale mi sono ovvia­mente mantenuto al di sopra e al di fuori del­le distinzioni e divisioni politiche interne». «Un discorso — conclude — nel quale ho messo molto di certe mie esperienze e con­vinzioni personali. Come quelle che maturai fin dal 1943-44, quando avevo appena co­minciato a parlare l’inglese e mi ritrovai a leggere un libro di Wendell Willkie, repubbli­cano liberale che aveva girato tutti i teatri di guerra come inviato speciale del presidente Roosevelt. One world, s’intitolava quel libro. Un mondo solo. Un mondo che oggi chiamia­mo globale, e nel quale nessun Paese o conti­nente può fare da solo... Sono partito da que­sto riferimento, quando ho preso la parola davanti ai capi di Stato e di governo riuniti per il G8».


12 luglio 2009

sabato 4 luglio 2009

Un governo che lavora.Tutto il resto sono chiacchiere.

Si potranno organizzare le ronde; diventa reato l'immigrazione clandestina. Da oggi il ddl sicurezza è legge dello Stato. L'ok definitivo del Senato è giunto in tarda mattinata con il voto di fiducia: 157 favorevoli tra PdL, Lega Nord e MpA; 124 no; 3 astenuti. Plaude la maggioranza ("Una legge fatta per la serenità dei cittadini, da me fortemente voluta", ha detto Silvio Berlusconi); forti le critiche sollevate dall'opposizione
Inasprite pene per gli immigrati. Dopo un lungo braccio di ferro con l'opposizione, la nuova legge impone un giro di vite sugli immigrati irregolari che da oggi rischieranno il processo. La permanenza nei Centri di identificazione temporanea per verificare la provenienza dei migranti potrà toccare i 18 mesi (finora il limite era di 60 giorni). Una pena fino a tre anni di carcere è prevista per chi affitta case o locali ai clandestini.

Le ronde. Potranno collaborare con le forze dell'ordine le associazioni di cittadini organizzate in ronde. Le associazioni saranno iscritte in un apposito elenco a cura del prefetto. Sarà un decreto del ministro dell'Interno a disciplinare i requisiti necessari, ma fin d'ora il governo ha assicurato che le ronde non saranno armate.

Norme anti-racket. Vengono inoltre ripristinati i poteri del procuratore nazionale antimafia e inasprito il 41-bis sulla detenzione dei boss mafiosi. Rispetto ad una stesura precedente, torna l'obbligo per gli imprenditori di denunciare i tentativi di racket, pena l'esclusione dalle gare d'appalto che scatta anche quando la richiesta del pizzo emerga dalle risultanze di un rinvio a giudizio.

Ritorna il reato di oltraggio. Aggravanti per i reati commessi su anziani e disabili; introdotte norme più severe contro i graffitari e contro coloro che impiegano bambini per l'accattonaggio. Ritorna ad essere penalmente rilevante il reato di oltraggio a pubblico ufficiale.

I complimenti del centrodestra. "Una legge per gli italiani", ha detto Maurizio Gasparri, presidente dei senatori del Pdl. Soddisfatto anche il ministro dell'Interno Roberto Maroni, "padre politico" del provvedimento: "E' un passo in avanti molto importante per garantire la sicurezza ai cittadini. Non è un provvedimento razzista".

Le critiche di Franceschini. Ma dall'opposizione si alza dura la protesta. "E' il prezzo che il governo paga alla Lega ed è un danno per il Paese. Indebolisce l'immagine già lesionata dell'Italia.", ha detto Dario Franceschini, segretario del Pd. "Nessuna risorsa in più è destinata alle forze di polizia mentre passano provvedimenti come il reato di clandestinità che rischia di ingolfare il lavoro dei magistrati e di riempire le carceri senza essere un concreto intralcio alla criminalità che sfrutta l'immigrazione clandestina". E i parlamentari dell'Italia dei Valori hanno alzato in aula cartelli con scritto: "I veri clandestini siete voi. Governo: clandestino del diritto".

Critico anche il Vaticano. Il presidente del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti, monsignor Antonio Maria Veglio, ha scritto: "I migranti hanno il diritto di bussare alle nostre porte. Basta demonizzare e criminalizzare il forestiero. L'arrivo dei migranti non è certo un pericolo. Sbagliato trincerarsi dentro le proprie mura". Gli ha fatto eco il segretario del pontificio Consiglio, monsignor Agostino Marchetto: "La nuova legge porterà "molti dolori e difficoltà agli immigrati". Critiche a cui Berlusconi non ha voluto rispondere: "Non le conosco e quindi non posso rispondere", ha detto seccato il presidente del Consiglio ad un cronista che gli chiedeva di commentare le parole del Vaticano. E dal forum del Terzo settore, il portavoce Andrea Olivero avverte: "La legge è un'ulteriore chiusura a quel dialogo tanto auspicato tra istituzioni e società civile".

Il Viminale non ci sta. Il ministero dell'Interno reagisce al coro di critiche alla legge e in particolare all'accusa di avere emanato un provvedimento che riporterebbe il Paese alle "leggi razziali". Con un comunicato stampa il Viminale sottolinea come i contenuti del ddl approvato al Senato "siano ben altri" e che "non esiste alcuna norma che vieti i matrimoni misti" oppure il "divieto per le donne straniere irregolari di riconoscere i figli né tantomeno di dichiararne la nascita".

Più popolari