venerdì 10 aprile 2009

Quell’Italia che ce la fa .

di Ferruccio de Bortoli


Nei momenti di dolore colletti­vo si scoprono immagini inde­lebili di solidarietà, effi­cienza e unità d’intenti del nostro Paese. Due su tutte: la dignità e la com­postezza di chi ha perdu­to sotto le macerie un fa­miliare, la generosità di tanti volontari anonimi. In realtà, non dovremmo assolutamente sorpren­derci, come facciamo in questi giorni. Il Paese non si trasforma, non si scopre diverso. Mostra so­lo alcune delle sue tante qualità. Lo spirito italia­no, quello vero, è ben de­scritto dagli inviati del Corriere. E ci si accorge che l’informazione è uti­le, necessaria. Non do­vremmo stupircene. Insie­me alle notizie circolano i sentimenti, le emozioni. Ci si sente tutti parte di una comunità. Ma i me­dia non svolgerebbero fi­no in fondo il proprio compito se non denun­ciassero le tante incurie, le leggi inapplicate, le co­struzioni colpevolmente fuori norma. E se non continuassero, anche quando l’emergenza sarà finita, a diffondere quella cultura della prevenzione e della manutenzione che misura il nostro livello di civiltà.

Basta l’esempio di que­sti giorni drammatici per descrivere la funzione pubblica di un buon gior­nale. Su carta e online. Onesto, serio e costrutti­vo. Com’è il Corriere della Sera, un’autentica istitu­zione di garanzia del Pae­se, che da oggi sarà firma­to da chi scrive. L’impe­gno con i lettori, in estre­ma sintesi, è proprio que­sto. Il nostro è un giorna­le aperto. Nel quale le idee si confrontano e si ri­spettano. Ma noi siamo dei moderati, sottolineo moderati, orgogliosi del­la nostra tradizione. E del­la nostra indipendenza. Un giornale aperto è il luogo dell’incontro profi­cuo tra laici e cattolici. Il luogo della tolleranza e della ragione. Dove si ten­ta di costruire, piuttosto che distruggere. Che sta dalla parte del Paese. Non contro. E ambisce a rap­presentare quell’Italia che ce la fa, come quella di questi giorni di passio­ne in Abruzzo. Consape­vole dei suoi mezzi. Che produce, investe, studia; si rimbocca le maniche ed è orgogliosa di quello che crea. E va non solo in­formata correttamente ma anche rappresentata. Difesa. Un giornale mo­derno è anche uno spec­chio dell’identità di chi lo legge.

Il Corriere giudica sui fatti (e qualche volta può sbagliarsi), ma non sta pregiudizialmente con nessuno. Se fosse stato sempre al servizio di qual­cuno (anche dei suoi azio­nisti) non avrebbe mai po­tuto svolgere il ruolo sto­rico che gli è proprio. Non avrebbe mai potuto anticipare gran parte del­le scelte di civiltà e pro­gresso del Paese, le aper­ture all’Europa, al libero mercato. Paolo Mieli, a cui succedo per la secon­da volta, questi valori li ha conservati in una fase difficile nel rapporto fra informazione e potere. Gli va reso merito. Mieli continuerà a scrivere sul suo giornale.

Qui mi fermo. E cam­bio registro. Vorrei tratta­re in breve due temi. Pri­mo: perché un’informa­zione libera, indipenden­te e responsabile fa bene alla democrazia? Non è una domanda retorica.

Senza un'opinione pubblica consapevole e avvertita un Paese non è soltanto meno libero, ma è più ingiusto e cresce di meno. Il cittadino ha pochi strumenti affidabili per decidere, non solo per chi votare, ma anche nella vita di tutti i giorni. La sua classe dirigente fatica a individuare le priorità, lo stesso governo (come avviene nelle aziende in cui tutti dicono di sì al capo) seleziona più difficilmente le buone misure distinguendole da quelle che non lo sono. Il consumatore è meno protetto, il risparmiatore più insidiato. Lo spazio pubblico è dominato dall'inutile e dall'effimero.

Si discute molto, e a ragione, sugli eccessi dell'informazione. Che ci sono, e gravi. Di cui anche noi portiamo le nostre colpe. Si discute poco sui costi della non informazione. Dove c'è opacità il merito non è riconosciuto; quando c'è poca trasparenza le aziende e i professionisti migliori sono penalizzati, i lavoratori onesti posti ai margini, i talenti esclusi. I diritti calpestati. La qualità della cittadinanza modesta.

Colpisce che spesso la classe dirigente italiana, non solo quella politica, consideri l'informazione un male necessario. E sottostimi il ruolo di una stampa autorevole e indipendente.
Tutti l'apprezzano e la invocano quando i giornalisti si occupano degli altri, degli avversari e dei concorrenti. Altrimenti la detestano e la sospettano.

Molti confondono l'informazione con la comunicazione di parte o la considerano la prosecuzione della pubblicità con altri mezzi. Una classe dirigente che non riconosce il ruolo di garanzia dell'informazione dimostra una scarsa maturità e una discreta miopia. La leadership nei processi globali, in particolare in questi momenti di profonda inquietudine e disorientamento, è fatta di informazioni corrette, tempestive e credibili. Il dibattito vero fa emergere le politiche migliori, quello falso o reticente solo quelle che appaiono in superficie le più percorribili e all'apparenza le meno costose. Insomma, con i cantori a pagamento e gli spin doctors improvvisati non si va da nessuna parte.

Il secondo tema che vorrei trattare riguarda l'utilità dei giornali. Vivono una crisi profonda, questo è vero. Ma non sono mai stati così letti. Sulla carta e online. Ci sarà una ragione se un navigatore che vuole un'informazione credibile accede più facilmente al sito di una testata storica. La Rete è una grande piazza democratica ma il confine fra vero e falso, effimero e sostanziale, lecito e illecito è assai sottile. E poi c'è un'altra ragione. Guardatevi intorno: quali sono i simboli che vi ricordano tradizione, appartenenza, storia della vostra comunità? Sono pochi, pochissimi.

Un'alluvione di marchi e format globali. In strada, in tv e nella Rete. Persino la vostra squadra del cuore parla una lingua diversa. A volte capita che solo in edicola e in libreria si abbia la certezza di trovarsi nel proprio Paese. Con il suo giornale un lettore si sente sempre a casa. A suo agio. Con uno strumento (anche di lavoro) affidabile per interpretare realtà complesse.

Sentirsi parte attiva di una comunità ed essere contemporaneamente cittadino del mondo. Ecco perché un buon giornale cambierà, si trasformerà, si integrerà di più con Internet, ma resterà sempre un pezzo insostituibile della nostra identità nazionale, l'anima e la ragione per la quale stiamo insieme. Il Corriere racconta e dà voce all'Italia che ce la fa. L'Italia migliore, quella che abbiamo visto all'opera in questi giorni di lutto e solidarietà nazionale. E se le nascondesse difetti e limiti finirebbe per amarla di meno. Il che non è nemmeno pensabile.

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